Pagina:Iliade (Monti).djvu/33

Da Wikisource.
22 iliade v.686

   Profondamente allora sospirando
L’adunator de’ nembi le rispose:
Opra chiedi odïosa che nemico
Farammi a Giuno, e degli ontosi suoi
Motti bersaglio. Ardita ella mai sempre690
Pur dinanzi agli Dei vien meco a lite,
E de’ Troiani aiutator m’accusa.
Ma tu sgombra di qua, chè non ti vegga
La sospettosa. Mio pensier fia poscia
Che il desir tuo si cómpia, e a tuo conforto695
Abbine il cenno del mio capo in pegno.
Questo fra’ numi è il massimo mio giuro,
Nè revocarsi, nè fallir, nè vana
Esser può cosa che il mio capo accenna.
Disse; e il gran figlio di Saturno i neri700
Sopraccigli inchinò. Su l’immortale
Capo del sire le divine chiome
Ondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo.
   Così fermo l’affar si dipartiro.
Teti dal ciel spiccò nel mare un salto;705
Giove alla reggia s’avvïò. Rizzârsi
Tutti ad un tempo da’ lor troni i numi
Verso il gran padre, nè veruno ardissi
Aspettarne il venir fermo al suo seggio,
Ma mosser tutti ad incontrarlo. Ei grave710
Si compose sul trono. E già sapea
Giuno il fatto del Dio; ch’ella veduto
In segreti consigli avea con esso
La figlia di Neréo, Teti la diva
Dal bianco piede. Con parole acerbe715
Così dunque l’assalse: E qual de’ numi
Tenne or teco consulta, o ingannatore?
Sempre t’è caro da me scevro ordire