Pagina:Iliade (Monti).djvu/378

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v.320 libro decimoquarto 45

Di periglio che parli? e di che temi?320
Gli rispose Giunon; forse t’avvisi
Che al par del figlio, per cui sdegno il prese,
Giove i Teucri protegga? Or via, mi segui,
Ch’io la minore delle Grazie in moglie
Ti darò, la vezzosa Pasitéa,325
Di cui so che sei vago e sempre amante.
   Giuralo per la sacra onda di Stige,
Tutto in gran giubilío ripiglia il Sonno;
E l’alma terra d’una man, coll’altra
Tocca del mar la superficie, e quanti330
Stansi intorno a Saturno inferni Dei
Testimoni ne sian, che mia consorte
Delle Grazie farai la più fanciulla,
La gentil Pasitéa cui sempre adoro.
   Disse; e conforme a quel desir giurava335
La bianca Diva, e i sotterranei numi
Tutti invocava che Titani han nome.
Fatto il gran sacramento, abbandonaro
D’Imbro e di Lenno le cittadi, e cinti
Di densa nebbia divorâr la via.340
D’Ida altrice di belve e di ruscelli
Giunti alla falda, uscîr della marina
Alla punta Lettéa. Preser leggieri
Del monte la salita, e della selva
Sotto i lor passi si scotea la cima.345
Ivi il Sonno arrestossi, e per celarsi
Di Giove agli occhi un alto abete ascese,
Che sovrana innalzava al ciel la cima.
Quivi s’ascose tra le spesse fronde
In sembianza d’arguto augel montano350
Che noi Cimindi, e noman Calci i numi.
   Con sollecito piede intanto Giuno
Il Gargaro salía. La vide il sommo