Pagina:Iliade (Monti).djvu/472

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v.523 libro decimosettimo 139

A lui di Giove rifería la mente;
E il fiero caso occorso, la caduta
Del suo diletto amico ora gli tacque.525
   In questo d’abbassate aste lucenti
E di cozzi e di stragi alto trambusto
Su quell’esangue, dalla parte achea
Gridar s’udía: Compagni, è perso il nostro
Onor se indietro si ritorna. A tutti530
S’apra piuttosto qui la terra; è meglio
Ir nell’abisso, che ai Troiani il vanto
Lasciar di trarre in Ilio una tal preda.
   E di rincontro i Troi: Saldi, o fratelli,
Niun s’arretri, per dio! dovesse il fato535
Qui su l’estinto sterminarci tutti.
   Così d’ambe le parti ognuno infiamma
Il vicino, e combatte. Il suon de’ ferri
Pe’ deserti dell’aria iva alle stelle.
   D’Achille intanto i corridor, veduto540
Il loro auriga dall’ettórea lancia
Nella polve disteso, allontanati
Dalla pugna piangean. Di Dïoréo
Il forte figlio Automedonte invano
Or con presto flagello, ora con blande545
Parole, ed ora con minacce al corso
Gli stimola. Ostinati essi nè vonno
Alla riva piegar dell’Ellesponto,
Nè rïentrar nella battaglia. Immoti
Come colonna sul sepolcro ritta550
Di matrona o d’eroe, starsi li vedi
Giunti al bel carro colle teste inchine,
E dolorosi del perduto auriga
Calde stille versar dalle palpebre.
Per lo giogo diffusa al suol cadea555
La bella chioma, e s’imbrattava. Il pianto