Pagina:Iliade (Monti).djvu/50

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v.381 libro secondo 39

Se a navigante da vernal procella
Impedito e sbattuto in mar che freme,
Pur di un mese è crudel la lontananza
Dalla consorte, che pensar di noi
Che già vedemmo del nono anno il giro385
Su questo lido? Compatir m’è forza
Dunque agli Achivi, se a mal cor qui stanno.
Ma dopo tanta dimoranza è turpe
Vôti di gloria ritornar. Deh voi,
Deh ancor per poco tollerate, amici,390
Tanto indugiate almen, che si conosca
Se vero o falso profetò Calcante.
In cuor riposte ne teniam noi tutti
Le divine parole, e voi ne foste
Testimoni, voi sì quanti la Parca395
Non aveste crudel. Parmi ancor ieri
Quando le navi achee di lutto a Troia
Apportatrici in Aulide raccolte,
Noi ci stavamo in cerchio ad una fonte
Sagrificando sui devoti altari400
Vittime elette ai Sempiterni, all’ombra
D’un platano al cui piè nascea di pure
Linfe il zampillo. Un gran prodigio apparve
Subitamente. Un drago di sanguigne
Macchie spruzzato le cerulee terga,405
Orribile a vedersi, e dallo stesso
Re d’Olimpo spedito, ecco repente
Sbucar dall’imo altare, e tortuoso
Al platano avvinghiarsi. Avean lor nido
In cima a quello i nati tenerelli410
Di passera feconda, latitanti
Sotto le foglie: otto eran elli, e nona
La madre. Colassù l’angue salito
Gl’implumi divorò, miseramente