Pagina:Iliade (Monti).djvu/504

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v.592 libro decimottavo 171

E il farlo mi s’addica. - E a lui suffusa
Di lagrime i bei rai Teti rispose:
   Delle Dive d’Olimpo e qual sofferse
Tanti, o Vulcano, tormentosi affanni595
Quanti in me Giove n’adunò? Me sola
Fra le Dive del mar suggetta ei fece
Ad un mortale, al re Peléo. Ritrosa
Ne sostenni gli amplessi; ed egli or giace
Logro dagli anni nel regal suo tetto.600
Nè il tenor qui restò di mie sventure.
Mi nacque un figlio. Io l’educai gelosa,
E come pianta ei crebbe, e mi divenne
Il maggior degli eroi. Questo germoglio
Di fertile terren, questo diletto605
Unico figlio su le navi io stessa
Spedii di Troia alle funeste rive
A guerreggiar co’ Teucri. Avverso fato
Gli dinega il ritorno; ed io non deggio
Nella peléa magion madre infelice610
Abbracciarlo più mai. Nè questo è tutto.
Fin ch’ei mi vive, e la ria Parca il raggio
Gli prolunga del Sole, ei lo consuma
Nella tristezza, nè giovarlo io posso.
Dagli Achivi ottenuta egli s’avea615
Premio di sue fatiche una fanciulla.
Agamennón gliela ritolse; ed esso
Dell’onta irato, e nel dolor sepolto
Si ritrasse dall’armi. I Teucri intanto
Alle navi rinchiusero gli Achei,620
Nè permettean l’uscita. Umíli allora
I duci argivi gli mandâr preghiere
E d’orrevoli doni ampie profferte.
Egli fermo negò la chiesta aita:
Ma cinse di sue stesse armi l’amico625