Pagina:Iliade (Monti).djvu/599

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266 iliade v.222

Scuoiâr di pingui agnelle e di giovenchi,
E traendone l’adipe il Pelíde
Copríane il morto dalla fronte al piede,
E le scuoiate vittime dintorno225
Gli accumolò. Da canto indi gli pose
Colle bocche sul féretro inclinate
Due di miele e d’unguento urne ricolme.
Precipitoso ei poscia e sospiroso
Sulla pira gittò quattro corsieri230
D’alta cervice, e due smembrati cani
Di nove che del sir nudría la mensa.
Preso alfin da spietata ira, le gole
Di dodici segò prestanti figli
De’ magnanimi Teucri, e sulla pira235
Scagliandoli, destò del fuoco in quella
L’invitto spirto struggitor, che il tutto
Divorasse, e chiamò con dolorosi
Gridi l’amico: Addio, Patróclo, addio
Ne’ regni anche di Pluto. Ecco adempite240
Le mie promesse: dodici d’illustre
Sangue Troiani si consuman teco
In queste fiamme, ed Ettore fia pasto
Delle fiamme non già, ma delle belve.
   Queste minacce ei fea; ma gl’incitati245
Mastin la salma non toccâr d’Ettorre,
Chè notte e dì sollecita la figlia
Di Giove Citerea gli allontanava,
E il cadavere ugnea d’una celeste
Rosata essenza che impedía del corpo250
Strascinato l’offesa. Intanto Apollo
Sul campo indusse una cerulea nube
Che tutto intorno ricopría lo spazio
Dal cadavere ingombro, onde alle membra