Pagina:Iliade (Monti).djvu/631

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298 iliade v.150

Son con esso gli Dei, ch’io stesso il sono150
Sovra tutti, da che sì furibondo
Agli strazii ei rattien l’ettórea salma,
E per riscatto non la rende ancora.
Ma renderalla, se il mio cenno ei teme.
A Príamo intanto io spedirò di Giuno155
La messaggiera, ond’egli immantinente
Ito alle navi degli Achei, co’ doni
Plachi il Pelíde, e il figlio suo redima.
   Obbedïente a quel parlar la Diva
Mosse i candidi piedi, e dall’Olimpo160
Scese d’un salto al padiglion d’Achille.
Il trovò sospiroso; affaccendati
A lui dintorno i suoi diletti amici
Apprestavan la mensa, ucciso un grande
E lanoso arïéte. Entrò, s’assise165
Dolce al suo fianco la divina madre,
Accarezzollo colla destra, e disse:
   E fino a quando, o figlio, in pianti e lutti
Ti struggerai, immemore del cibo,
E deserto nel letto? Eppur di cara170
Donna l’amplesso il cor consola: il tempo,
Ch’a me vivrai, gli è breve, e vïolenta
Già t’incalza la Parca. Or via, m’ascolta,
Ch’io di Giove a te vengo ambasciatrice.
I numi, ed esso primamente, sono175
Teco irati, perchè nel tuo furore
Ostinato ritieni appo le navi
D’Ettore il corpo, e al genitor nol rendi.
Rendilo, e il prezzo del riscatto accetta.
   E ben, rispose sospirando Achille,180
Venga chi lo redima e via sel porti,
Se tal di Giove è l’assoluto impero.
   Mentre in questo parlar stassi col figlio