Pagina:Iliade (Monti).djvu/636

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v.319 libro ventesimoquarto 303

Con acerbi rabbuffi il doloroso,
E, Studiatevi, grida: a che vi state,320
Nequitosi infingardi? oh foste tutti
Spenti in vece d’Ettorre! Oh me infelice!
Re dell’eccelsa Troia io generai
Fortissimi figliuoli, e nullo in vita
Ne rimase. Caduto è il dëiforme325
Mio Méstore; caduto è il bellicoso
Tróilo di cocchi agitatore; ed ora
Ettore cadde, quell’Ettór che un Dio
Fra’ mortali parea; no, d’un mortale
Figlio ei non parve, ma d’un Dio. La guerra330
Mi tolse i buoni, e mi lasciò cotesti
Vituperii; sì voi, prodi soltanto
Alle danze, agl’inganni, alle rapine.
Su, che si tarda? Apparecchiate il carro,
Ponetevi que’ doni, e vi spedite,335
Onde senza più starmi io m’incammini.
   Rispettosi al garrir del genitore
Corser quelli e dier fuora incontanente
L’agile plaustro tutto nuovo e bello,
E una grand’arca vi legâr di sopra.340
Indi un giogo mulin di bosso, ornato
D’un umbilico con anel ben messo,
Dal pïuólo spiccâr: poscia di nove
Cubiti tratta la giogal gombína,
Al capo accomodâr del liscio temo345
Acconciamente il giogo, e sovrapposto
Alla caviglia del timon l’anello,
Con triplicato giro all’umbilico
L’avvinghiâr quinci e quindi, e fatto un nodo,
Della gombína ripiegâr la punta350
Nella parte di sotto. Ciò finito,
Giù recâr dalla stanza i destinati