Pagina:Iliade (Monti).djvu/645

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312 iliade v.625

Già di tutti esser privo. Di cinquanta625
Lieto io vivea de’ Greci alla venuta.
Dieci e nove di questi eran d’un solo
Alvo prodotti; mi veníano gli altri
Da diverse consorti, e i più ne spense
L’orrido Marte. Mi restava Ettorre,630
L’unico Ettorre, che de’ suoi fratelli
E di Troia e di tutti era il sostegno;
E questo pure per le patrie mura
Combattendo cadéo dianzi al tuo piede.
Per lui supplice io vegno, ed infiniti635
Doni ti reco a riscattarlo, Achille!
Abbi ai numi rispetto, abbi pietade
Di me: ricorda il padre tuo: deh! pensa
Ch’io mi sono più misero, io che soffro
Disventura che mai altro mortale640
Non soffrì, supplicante alla mia bocca
La man premendo che i miei figli uccise.
   A queste voci intenerito Achille,
Membrando il genitor, proruppe in pianto,
E preso il vecchio per la man, scostollo645
Dolcemente. Piangea questi il perduto
Ettore ai piè dell’uccisore, e quegli
Or il padre, or l’amico, e risonava
Di gemiti la stanza. Alfin satollo
Di lagrime il Pelíde, e ritornati650
Tranquilli i sensi, si rizzò dal seggio,
E colla destra sollevò il cadente
Veglio, il bianco suo crin commiserando
Ed il mento canuto. Indi rispose:
   Infelice! per vero alte sventure655
Il tuo cor tollerò. Come potesti
Venir solo alle navi ed al cospetto
Dell’uccisore de’ tuoi forti figli?