Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/124

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289-318 CANTO III 69

Poi, dal cratère attinto, versarono il vin nelle coppe,
290levarono preghiere ai Numi che vivono eterni;
e ciascheduno fra sé ripeteva, troiano od achivo:
     «Giove possente e voi, tutti quanti, Celesti immortali,
possa chi primo ardisse peccar contro i giuri, il cervello
sparso cadergli a terra, cadere ai suoi figli, come ora
295si sparge questo vino, sia preda ad estranî la moglie».
     Dicean cosí; ma Giove non volle ascoltare le preci.
E Priamo parlò, dei Dàrdani il principe, e disse:
«Datemi ascolto, Achivi dall’arme di bronzo, e Troiani.
Di nuovo io tornerò fra le mura di Troia ventosa,
300ché non mi regge il cuore, vedere non posson questi occhi,
pugnar con Menelao, diletto di Marte, il mio figlio.
Giove lo sa di certo, lo san gli altri Numi immortali,
a chi dei due la sorte segnata abbia l’ora fatale».
     Disse il divino vegliardo, gli agnelli posò sopra il carro,
305egli medesimo poi v’ascese, le redini tese:
ascese a lui vicino Antènore il fulgido cocchio.
     Or questi due, cosí facevano ad Ilio ritorno.
Ed Ettore, figliuolo di Priamo, e Ulisse divino,
pria del terreno i confini segnarono, quindi le sorti
310posero, scosser nel cavo d’un elmo foggiato nel bronzo,
quale dei due dovesse per primo lanciar la zagaglia.
Alte le mani al cielo, le turbe pregavano i Numi;
e piú d’uno cosí dicea, tra gli Achivi e i Troiani:
«Deh! Giove padre, che regni su l’Ida, possente, supremo,
315quello dei due che fu cagione di queste sciagure,
fa’ ch’or debba morire, piombar nella casa d’Averno;
e fra noialtri regni concordia e sicura amicizia».
     Cosí diceano. Ed Ettore grande scoteva le sorti,