Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/133

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78 ILIADE 20-49

     20Disse cosí. Le labbra si morsero Atena e Giunone,
sedute presso a lui, che volevano il mal dei Troiani.
Atena restò muta, non disse una sola parola,
fremendo contro il padre di sdegno e di bile selvaggia;
ma non contenne lo sdegno Giunone, parlò, cosí disse:
25«Quale parola hai detto, possente figliuolo di Crono?
Dunque, la mia fatica vuoi rendere inutile e vana,
vano il sudore ch’io, stancando i cavalli, ho versato,
quando raccolsi le turbe a Priamo infeste e a suoi figli?
Fa’ pur; ma gli altri Numi di ciò non vorranno lodarti».
     30E Giove, adunatore di nembi, crucciato, rispose:
«Cuore implacato, di’, quali mai grandi offese t’han fatto
Priamo, e i figli suoi, che t’arde implacabile brama
d’Ilio veder, la rocca dai solidi muri, distrutta?
Se valicar le porte potessi, e l’eccelse sue mura,
35e divorare crudo re Priamo e i suoi figli, e i Troiani
tutti, sarebbe forse placata la furia che t’arde.
Fa’ pur ciò che tu vuoi: ché questa contesa non debba
per te, per me, divenire soggetto di fiera discordia.
Un’altra cosa però ti dico, e ricordala bene:
40se mai qualche città vorrò poi distruggere anch’io,
quale che sia, dove gente dimori diletta al tuo cuore,
non trattenere il mio sdegno, ma lasciami libero: anch’io
a malincuore, quanto bramavi, t’ho pure concesso:
perché niuna città, fra quante son d’uomini albergo,
45sotto la luce del sole, le stelle fulgenti del cielo,
tanto solea d’onori colmarmi, quanto Ilio la sacra,
e Priamo, e il popol tutto di Priamo maestro di lancia:
ché mai sull’ara mia non mancarono vittime opime,
né libagioni, né omento, che a noi sono debite offerte».