Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/251

Da Wikisource.
196 ILIADE 20-49

20che d’Ilio avrei distrutte le mura, e tornato sarei;
ed ora un tristo inganno mi trama, e dispone che ad Argo
ritorni senza gloria, poi ch’ò tanta gente perduta.
Questa è la volontà di Giove, possente signore,
che tante e tante cime distrusse di rocche superbe,
25e ne distruggerà: ché sommo è il potere di Giove.
E, dunque, tutti, via, pigliamo il partito ch’io dico:
verso la terra patria fuggiam su le concave navi,
ché l’ampie vie di Troia mai piú non potremo espugnare».
     Cosí diceva; e tutti rimasero senza far motto.
30Muti restarono a lungo, crucciati, i figliuoli d’Acaia:
pure, alla fine, parlò Dïomede, alto grido di guerra;
«Atríde, io contro te parlerò: ché tu sei sconsigliato
nella concione. Ed è mio diritto, né devi adirarti.
La mia prodezza tu negasti testé, fra gli Argivi:
35che imbelle io sono, e senza coraggio dicevi. Di questo
possono, o giovani, o vecchi, risposta dar tutti gli Achivi.
A te, piuttosto, il figlio di Crono concesse un sol dono:
ti die’ che pel tuo scettro tu fossi fra tutti onorato;
ma non ti diede il coraggio, che pure è la forza piú grande.
40Deh, sciagurato! Credi tu forse che i figli d’Acaia
imbelli siano, e senza coraggio, cosí come dici?
Se nel tuo seno il cuore t’induce davvero a tornare,
va’, ché la strada è aperta, le navi son presso alla spiaggia
che da Micene t’hanno seguito per mare in gran copia;
45ma resteranno qui altri Achei dalle floride chiome,
sinché non abbian Troia distrutta. E se voglion fuggire,
fuggano anch’essi, sopra le navi, alla terra materna;
ma noi, Stènelo ed io, resteremo, sinché non si veda
Ilio distrutta: ché qui venimmo pel cenno del Nume».