Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/265

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2io ILIADE 439-468

a pronunciare acconce parole, ed a compiere gesta.
440Cosí, lungi da te restare, o figliuol, non vorrei,
neppur se a me promessa facesse un Iddio di raschiarmi
via la vecchiezza, e farmi tornar giovinetto, qual’ero
quel dí ch’Ellade prima lasciavo e le donne sue belle.
Del padre mio la furia, d’Amíntore figlio d’Ormèno
445fuggivo. Era adirato con me per la ganza sua bella.
Esso l’amava; e la sua legittima sposa, mia madre,
piú non amava. Ed essa mi stava lí sempre a pregare
ch’io seducessi la ganza, per far ch’ella il vecchio odïasse.
Io mi convinsi, e lo feci; ma come mio padre lo seppe,
450mi maledí, contro me imprecò dall’Erinni odïose
ch’io sulle mie ginocchia veder mai non possa un figliuolo
caro, nato da me: compiuto gli resero il voto
Giove che regna sotterra, Persèfone, Diva tremenda.
Col bronzo acuto allora mi venne l’idea di svenarlo:
455ma l’ira mia frenò qualcuno dei Numi; e la fama
che avrei, pensar mi fece, fra gli uomini, e i biasimi grandi,
sicché me parricida chiamar non dovesser gli Achivi.
Ma quindi innanzi piú il cuor non mi resse nel seno
di rimaner nella casa dov’ero odïoso a mio padre.
460Molto i parenti, molto, venendomi attorno, i cugini,
me trattener con le preci tentarono sotto quel tetto,
molte sgozzarono pecore pingui, con lucidi bovi
dal torto pie’, gran copia di porci fiorenti di grasso
furono rosolati, distesi sul fuoco d’Efèsto,
465molto vin pretto fu bevuto dagli orci del vecchio.
Per nove notti a me rimasero vigili attorno,
guardia facendo alterna; né mai si spengevano i fuochi:
l’uno, nel ben costrutto recinto del portico ardeva.