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232 ILIADE 320-349

320ma tu lo scettro tuo solleva, per far giuramento
di darmi il carro tutto fulgente di fregi di rame,
ed i cavalli che in guerra trasportano Achille divino.
Né vano esploratore sarò, che ti faccia deluso:
ché tanto avanzerò pel campo, sin ch’io non sia giunto
325presso alla nave del re Agamènnone, dove i migliori
terran certo consiglio, se ancora azzuffarsi, o fuggire».
     Cosí disse. E levò lo scettro, fece Ettore un giuro:
«Sappia ora Giove, d’Era lo sposo che tuona dal cielo,
che su quel carro niun altri salire dovrà dei Troiani,
330ma solo tu dovrai, lo affermo, rifulgervi sempre».
     Disse. E fu vano quel giuro; ma pure a sospingerlo valse.
Súbito si gittò sugli omeri l’arco ricurvo,
strinse d’un grigio lupo la pelle d’intorno alle membra,
sopra la testa un berretto di donnola, strinse l’acuta
335zagaglia e s’avviò, dal campo alle navi; né indietro
piú ritornar doveva, né ad Ettore dar la risposta.
Ma poi ch’esso lasciò dei cavalli e degli uomini il folto,
pel suo cammino, pieno d’ardire movea. Ma lo scorse
Ulisse; e a Dïomede cosí la parola rivolse:
340«O Dïomede, vedi che un uomo s’avanza pel campo,
né so se sia diretto ai nostri navigli a spiare,
o predar voglia alcuno dei morti che giacciono in campo.
Prima lasciamo adesso che un tratto s’inoltri nel piano,
e poi balziamo avanti, facciamo di prenderlo in furia.
345Se poi sopravanzarci potrà con i piedi veloci,
spingilo, incalzalo sempre, con l’asta, lontano dal campo,
verso le navi, ché salvo non abbia a tornar nella rocca».
     Detto cosí, da un canto piegâr della via, tra le salme;
e quello, rapido oltre passò, ché non ebbe sospetto.