Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/114

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827-856 CANTO XVI 111

che tanti uccisi avea, si fece, e gli tolse la vita.
E, millantando, queste gli volse veloci parole:
«Pàtroclo, tu pensavi la nostra città porre a sacco,
830e su le navi le donne troiane alle vostre contrade,
tolta che avessi a loro la luce dei liberi, addurre.
Stolto! Ché in loro difesa si lanciano i prodi cavalli
d’Ettore, a lotta. Ed io stesso non ultimo son dei Troiani,
quando conviene usare la lancia: ché lungi da loro
835tengo il fatale dí. Tu sarai qui sbranato dai gufi
povero te! Né Achille soccorso ti diede, l’eroe,
che quando tu movevi, consigli ti diede, e rimase:
— Pàtroclo, qui non tornare, signor di cavalli, a le navi
concave, se tu prima non abbia squarciata sul petto
840d’Ettore sterminatore la tunica intrisa di sangue! — .
Cosí diceva. E tu, dissennato, ne fosti convinto».
     E tu, Pàtroclo, già moribondo, cosí rispondevi:
«Ettore, mena adesso gran vanto, ché Giove Croníde
e Apollo, han dato a te vittoria, che m’hanno abbattuto
845senza fatica. Ch’essi dagli omeri l’armi m’han tolte:
se venti come te venuti mi fossero incontro,
sotto la lancia mia sarebbero tutti caduti.
Ora, la Parca funesta m’uccise, e il figliuol di Latona
ed il mortale Euforbo. Tu terzo m’hai presa la vita.
850E un’altra cosa ancora ti dico, e tu figgila in mente:
neppur la vita tua durare dovrà troppo a lungo,
ma presso già ti stanno la Morte e la Parca funesta:
cader sotto le mani dovrai dell’Eàcide Achille».
     Mentre cosí diceva, l’avvolse il Destino di morte,
855e dalle membra l’alma discese volando nell’Ade,
la sorte sua piangendo: ché insiem giovinezza e valore