Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/126

Da Wikisource.
229-258 CANTO XVII 123

e a lui ceder dovrà di Telàmone il nobile figlio,
230a lui darò metà delle spoglie, serbando a me l’altra:
sarà cosí fra noi partita ugualmente la gloria».
     Disse cosí. Vibrando le lancie, piombarono quelli
con urto grave, sopra gli Achivi; e speravano molto
strappare dalle mani d’Aiace il cadavere. Stolti!
235ché su quel corpo a molti rapí quel gagliardo la vita.
E al prode Menelao disse allor di Telàmone il figlio:
«O caro, o Menelao progenie di Giove, non spero
piú che noi due potremo tornar dalla stretta di guerra.
Né tanto per la salma di Pàtroclo io temo, che presto
240dovrà saziare i cani di Troia, saziare gli uccelli,
quanto per la mia vita temo io, per la tua, che non corra
grave periglio: tal nube di guerra d’intorno ci stringe
Ettore: ancora su noi s’addensa l’estrema rovina.
Su via, chiama i piú prodi fra i Dànai, se alcuno ci ascolta».
     245Disse. Né sordo fu Menelao valoroso all’invito,
e con un alto grido cosí si rivolse agli Achivi:
«Amici, o voi, signori, che a lotta guidate gli Argivi,
quanti presso all’Atride Agamènnone e al biondo fratello
libate i vini ch’offron le genti, e di genti è ciascuno
250signore, e Giove ad esso concede l’onore e la gloria,
è dura cosa che i duci debba io rintracciare uno ad uno
mentre sí fiera avvampa la furia di guerra. Su, dunque,
venga ciascuno da sé, vergogna lo colga, che debba
in Troia esser ludibrio la salma di Pàtroclo ai cani».
     255Sí disse. E bene Aiace l’udiva, il figliuol d’Oïlèo,
e primo venne a lui di mezzo alla mischia, correndo:
Idomenèo dopo lui correva, correa lo scudiero
d’Idomenèo, Merïóne, che Marte omicida sembrava.