Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/128

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289-318 CANTO XVII 125

e per un piede via trascinando l’andava pel campo,
290ché dei Troiani e d’Ettore ambiva la grazia; ma presto
su lui giunse il malanno, che niuno, benché lo bramasse,
valse a schermire. Aiace, su lui fra le turbe piombando,
da presso lo colpí, traverso l’elmetto di bronzo.
L’elmo crinito si franse d’intorno alla punta dell’asta,
295della gran lancia all’urto, del braccio possente; e il cervello
sanguinolento, schizzò lungo il manico, fuor dalla piaga.
E qui la forza sua fiaccata si giacque: di mano
lasciò sfuggire a terra di Pàtroclo il piede; ed a terra
anch’esso a lui vicino piombò, sul cadavere, prono,
300ben lungi di Larissa dai fertili campi; e mercede
ai genitori suoi non rese: ché presto compiuta
fu la sua vita, sotto la lancia d’Aiace animoso.
Ettore allor contro Aiace vibrò la sua lucida lancia.
Ma quegli che ben vide, per poco la lucida punta
305pote’ schivare; e quella colpí del magnanimo Ifíto
il figlio, Scedio, ch’era fra tutti i Focesi il piú prode,
ed abitava, signore di popoli molti, in Panòpe.
Di sotto gli colpí la clavicola: il cuspide sommo
passò fuor fuori, uscí dall’omero, presso allo stremo:
310diede cadendo un frastuono, su lui rimbombarono l’armi.
Aiace, poi, colpí di Fènope il figlio, Forcíno,
ch’era in difesa accorso d’Ippòtoo, nel mezzo del ventre.
Ruppe la piastra nel mezzo, s’immerse nei visceri il ferro;
disteso egli piombò, brancicando la polvere, a terra.
315Ettore indietro si trasse; e quanti primi erano in zuffa
ruppero in alte grida, gli Argivi traendo le salme
di Forci e d’Ippotòo, spogliandone i corpi dell’armi.
     E qui, certo, respinti dai forti d’Acaia, i Troiani,