Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/151

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148 ILIADE 140-169

140sí che vediate il vegliardo marino, e la casa paterna,
e tutto a lui diciate. Frattanto, alle cime d’Olimpo
io vado, e cerco Efesto, l’artefice insigne, se voglia
armi pel figlio mio foggiare, ben salde e lucenti».
     Cosí diceva. E quelle s’immerser nei flutti del mare:
145Teti all’Olimpo ascese, la Dea dall’argentëo piede,
per procurare l’armi ben salde al figliuolo diletto.
     Teti sui rapidi piedi moveva all’Olimpo. E gli Achivi
con infinito tumulto, da Ettore sterminatore
cacciati, a l’Ellesponto pervennero in breve, ai navigli.
150E qui, neppure il corpo di Pàtroclo, il prode scudiere
d’Achille, trarre in salvo potevan dai colpi gli Achivi,
perché raggiunto ancora l’avevano i fanti e i cavalli,
ed Ettore, figliuolo di Priamo, pareva una fiamma.
Tre volte Ettore prode ghermí per i piedi la salma
155ché la voleva strappare, levando ai Troiani grandi urli:
tre volte ambi gli Aiaci, che avean di valore l’usbergo,
lo ricacciarono lungi. Ma ei, di sua forza sicuro,
or si lanciava innanzi nel fiero tumulto, poi stava,
levando fiere grida; né pure la presa lasciava.
160Come i pastori, a notte, nei campi, lontan dalla preda
non valgono a tenere un rosso leone affamato,
cosí gli Aiaci entrambi tentavano invano dal corpo
di Pàtroclo, lontano tenere di Priamo il figlio.
E tratto via lo avrebbe, ne avrebbe riscossa alta gloria,
165se Iride veloce, che piedi ha di vento, discesa
al figlio di Pelèo non fosse d’Olimpo, per dirgli
ch’egli s’armasse; né Giove né altri dei Numi sapeva:
Era l’aveva mandata. Vicino gli stette, e gli disse:
«Sorgi, figliuol di Pelèo, tremendo fra tutti gli eroi,