Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/152

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170-198 CANTO XVIII 149

170corri a difesa di Pàtroclo. Innanzi alle navi, per lui
arde accanita la zuffa, l’un l’altro si stanno uccidendo,
questi, pugnando a difesa del morto figliuol di Menezio,
ed i Troiani, portare lo vogliono ad Ilio ventosa.
Ettore piú d’ogni altro, di Priamo il fulgido figlio,
175trarlo vorrebbe in Ilio, vorrebbe recidergli il capo,
via dal morbido collo, configgerlo in vetta ad un palo.
Via, non poltrire piú a lungo! Il cuore vergogna ti tocchi,
che Pàtroclo divenga ludibrio dei cani di Troia:
tuo, se fra i morti giungesse sconciato, sarebbe lo smacco».
     180E a lei rispose Achille dai piedi veloci, e le disse:
«Iride, e quale a me degli Dei ti mandò messaggera?».
     Ed Iri a lui rispose, la Diva dai piedi di vento:
«Era mandata m’ha, di Giove l’illustre consorte:
non il figliuolo di Crono lo sa, né alcun altro dei Numi
185ch’ànno dimora sopra l’Olimpo coperto di neve».
     E a lei rispose Achille Pelíde dai piedi veloci:
«Or, come andrò nella zuffa? Mi tengono i Teucri l’armi,
e non consente mia madre ch’io possa affrontare la guerra,
se ritornare prima non l’abbian veduta questi occhi:
190ché mi promise ch’altre armi recate m’avrebbe, d’Efesto;
né so poi di chi altri potrei rivestire buone armi,
se non del grande Aiace lo scudo; ma questi, mi penso,
dev’esser nella mischia, di certo, a pugnare fra i primi,
con la sua lancia, a difesa del morto figliuol di Menezio».
     195E a lui cosí rispose la Diva dai piedi di vento:
«Bene anche noi lo sappiamo, che prese t’han l’armi tue belle:
récati, pur tuttavia, su l’orlo del fosso, e ai Troiani
móstrati, se, per sorte, di te sbigottiti, lasciare