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229-258 CANTO XVIII 151

E dodici guerrieri qui caddero spenti, fra i primi,
230d’attorno ai carri, all’aste d’attorno; e a loro agio gli Achivi,
tratto di Pàtroclo il corpo lontan dalla furia dei colpi,
sopra un giaciglio lo posero. Intorno gli stetter piangendo
tutti gli amici. E Achille veloce pur ei li seguiva,
lagrime calde versando, poiché vide il fido compagno
235che su la bara giaceva, trafitto dal ferro affilato:
però ch’egli mandato l’aveva col carro e i corsieri
alla battaglia; né piú l’aveva abbracciato al ritorno.
     Ed Era, allor, la Dea veneranda dagli occhi lucenti,
Elio costrinse, contro sua voglia, a tornare nel mare.
240Ed Elio si tuffò, desisteron gli Achivi divini
dalla spietata guerra, dal fiero cozzar della mischia.
     Ed i Troiani anch’essi, lasciata la pugna feroce,
fattisi lungi, dai carri disciolsero i pronti corsieri,
e si riunirono, pria di pensare alla cena, a consiglio.
245E in piedi l’assemblea fu tenuta: ché niuno avea cuore
di star seduto: tutti terrore ingombrava: ché Achille
apparso era, che tanto dal campo rimasto era lungi.
Polidamante, l’accorto figliuolo di Panto, a parlare
prese per primo: ch’ei solo vedeva il passato e il futuro.
250D’Ettore esso era compagno, nati erano entrambi una notte,
ma l’un piú nei consigli valeva, piú l’altro nell’armi.
Questi, pensando al bene, cosí cominciava a parlare:
«Pensate bene a tutto, compagni: ché io vi consiglio
che súbito in città torniam, senza attendere l’alba,
255presso le navi, nel piano: ché lungi siam qui dalle mura.
Sinché fu con l’Atride Agamennone irato quell’uomo,
cosa piú agevole fu combatter coi figli d’Acaia:
allor piacque anche a me, pernottar presso i rapidi legni,