Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/170

Da Wikisource.



     Ecco, dai rivi d’Ocèano, Aurora dal peplo di croco
fuori balzò, che ai Numi recava la luce e ai mortali;
e coi presenti del Nume, d’Achille a le rapide navi
Tètide giunse; e il figlio trovò, che di Pàtroclo il corpo
5stretto teneva, piangendo: gemevano molti compagni
a lui d’intorno. Ad essi vicina si fece la Diva,
e per la mano lo prese, gli volse cosí la parola:
«O figlio mio, per cruccio che averne si possa, lasciamo
giacer costui, poiché dei Numi la forza l’ha spento;
10e tu da me quest’armi fulgenti d’Efesto ricevi,
belle cosí, che alcuno non mai le indossò dei mortali».
     E, dette ch’ebbe queste parole, la Diva depose
l’armi dinanzi ad Achille. Mandarono tutte uno squillo;
e furon di terrore colpiti i Mirmídoni; e niuno
15guardarle osava, tutti tremavano. Achille soltanto,
come le vide, piú fu invaso dall’ira; e tremende
le sue pupille, sotto le ciglia, mandavano lampi.
E s’allegrò, del Dio ricevendo i bellissimi doni;
e poi che sazio fu di guardare quell’opere belle,