Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/177

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174 ILIADE 200-229

200in altro tempo, meglio potreste di ciò darvi cura,
allor che della zuffa ci sia qualche tregua, e nel seno
a me non arda piú questo fiero furore. Ma ora,
giacciono straziati gli amici che caddero ai colpi
d’Ettore, quando a lui concedeva la gloria il Croníde;
205e voi volete al pasto mandare le genti? Oh!, comando
bene io darei che a zuffa movessero i figli d’Acaia
digiuni ed affamati, che solo al tramonto il banchetto
s’apparecchiasse, quando lavato si fosse lo scorno.
Per la mia gola, prima d’allora passar non potrebbe
210né cibo, né bevanda, sinché giace spento il compagno
nella mia tenda, giace coi piedi rivolti alla porta,
tutto sconciato dal bronzo, gli piangono intorno i compagni.
Quindi, a nulla di ciò rivolgere io posso il pensiero,
ma solo a stragi, a sangue, a gemiti d’uomini fieri».
     215E a lui cosí l’eroe sagacissimo Ulisse, rispose:
«Pelide Achille, o il piú possente fra tutti gli Achivi,
piú valoroso tu sei di me, sei piú forte, e non poco
nell’armi: io nel consiglio, però, di non poco t’avanzo,
perché prima di te son nato, ed ho visto piú cose.
220Alle parole mie sia docile dunque il tuo cuore.
Gli uomini, molto presto van sazi di quella battaglia
in cui la spada a terra cadere fa copia di paglia,
ed è la messe invece scarsissima, quando il Croníde
ch’è dispensier negli scontri di guerra, gli eventi bilancia.
225Possibile non è che gli Achei faccian lutto col ventre,
perché troppi son quelli che cadono giorno per giorno
l’uno su l’altro: quando s’avrebbe respiro alla pena?
Quando un dei nostri cade, conviene con animo forte
dargli sepolcro, e pianto versare per solo quel giorno;