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409-438 CANTO XXI 219

rise, e veloci queste parole, esaltandosi, disse:
410«Sciocco, non te lo sei ricordato, quanto io piú gagliarda
sono di te, che ardisti venir meco a prova di forza?
Ora cosí devi tu scontar di tua madre le colpe,
che, irata, a mal consiglio s’attenne, perché degli Achivi
abbandonate le parti, difendi gl’iniqui Troiani».
     415E, cosí detto, altrove rivolse le fulgide luci.
Ed Afrodite, la figlia di Giove, preso Ares per mano,
via lo guidò, che gemeva, che appena traeva il respiro.
Era li vide allora, la Diva dall’òmero bianco,
e favellò con queste veloci parole ad Atena:
420«Miseri noi, figlia invitta di Giove dell’ègida sire,
quella molesta zecca di nuovo è sul campo, e via tragge
Are omicida dal crudo furor della pugna. Or tu accorri».
     Disse cosí. Si lanciò, gioendo nell’anima, Atena,
sopra le fu, la man dura protese a percòterle il seno:
425e venne meno a quella lo spirto, piegâr le ginocchia.
Giacquero entrambi cosí, sovresse le fertili zolle,
e sovra loro Atena parlò queste alate parole:
«Oh!, se i guerrieri tutti venuti dei Teucri al soccorso
fossero tali, quando s’azzuffan con gli uomini d’Argo,
430fossero arditi cosí, cosí validi, come Afrodite
venne al soccorso d’Are, di fronte movendo al mio sdegno!
Da lungo tempo avrebbe già termine avuto la guerra,
già rovesciata avremmo la rocca saldissima d’Ilio».
     Cosí parlava; ed Era dall’omero candido, rise.
435E disse allora il Nume che scuote la terra, ad Apollo:
«Febo, e perché noi due ristiamo? Non bello è tale atto!
Gli altri già sono alle prese. Vergogna per noi, se torniamo
senza azzuffarci, all’Olimpo, di Giove alla bronzea dimora.