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218 ILIADE 379-408

«Inclito figlio, Efèsto, desisti: poiché non conviene
380per i mortali dar tanto martirio ad un Nume immortale».
     Com’ebbe detto, spense Efèsto la furia del fuoco;
e per le belle fluenti declinò retrogrado il flutto.
     Dunque, fiaccata che fu la furia del Xanto, i rivali
stettero: ch’Era, sebbene crucciata, li aveva frenati.
385Ma divampò tremenda la zuffa fra gli altri Celesti,
impetuosa: in due schiere la furia dei cuor li spingeva.
Gli uni piombaron sugli altri con alto fracasso; e un rimbombo
corse per l’ampia terra, dal cielo rispose un clangore.
Udí Giove, in Olimpo seduto; ed il cuore gli rise
390di contentezza, vedendo confusi i Celesti in battaglia.
Sparve ben presto il terreno fra loro. Die’ il segno alla zuffa
Ares, che frange gli scudi, stringendo una lancia di bronzo:
primo balzò sopra Atena, con queste parole d’obbrobrio:
«Zecca molesta, perché sospingi a contesa i Celesti,
395mai di protervia sazia, ché il cuor temerario ti spinge?
Non ti ricordi quando spingesti il Tidíde a ferirmi,
e tu medesima, l’asta lucente vibrando diritta,
contro di me la scagliasti, la cute ferendomi? Adesso
spero che il fio mi dovrai pagar dell’offesa d’allora».
     400Disse. Ed all’egida volse, di frange tutta orrida, un colpo.
Schermo tremendo è quello: neppur la saetta di Giove
lo frange: Are omicida vibrò, per colpirlo, la lancia;
ma si ritrasse Atèna, con mano gagliarda un macigno
prese, gigante, negro, tutto aspro, che al suolo giaceva,
405e lo teneva, la gente d’un tempo, a confine dei campi.
Ares colpí con questo nel collo, e gli sciolse le membra.
Precipitando, coprí sette iugeri: intrisa la chioma
fu nella polvere, l’armi tonaron sul corpo; ed Atena