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236 ILIADE 199-228

l’uno non vale a raggiungere, l’altro non vale a fuggire:
200cosí né quei poteva ghermirlo, né questo evitarlo.
Ora, come Ettore avrebbe schivata la sorte ferale,
se presso a lui venuto per l’ultima, l’ultima volta
Febo non fosse, che forza gl’infuse e vigore ai ginocchi?
Alle sue genti cenno faceva col capo il Pelíde,
205né permettea che sovra Ettore i dardi lanciassero amari,
ch’altri colpendolo avesse la gloria, ed ei fosse il secondo.
Quando la quarta volta però furon presso alle fonti,
ecco, librando il padre dei Superi l’aurea bilancia,
sopra vi pose due fati di morte e di gemiti: uno
210d’Ettore prode a domare corsieri, ed un altro d’Achille:
l’alzò presala a mezzo: giú d’Ettore il giorno fatale
traboccò, verso l’Ade piombò: né piú Febo lo resse.
E Atèna, occhi azzurrina, già corsa vicino al Pelíde,
standogli presso, queste parole veloci gli disse:
215«Fulgido Achille, adesso, diletto dei Superi, spero
che presso ai legni Achivi gran gloria otterremo noi due,
Ettore sterminando, per quanto gagliardo alla zuffa!
Ora non potrà piú salvarlo la fuga, per quanto
Febo, che lungi avventa gli strali, s’adopri a salvarlo,
220supplice prosternandosi innanzi a l’Egíoco Giove.
Ma su, férmati, e fiato ripiglia: frattanto io lo accosto,
e lo convinco che voglia pugnare con te a fronte a fronte».
     Disse la Dea cosí, l’ubbidí, lieto in cuore, il Pelíde,
e si fermò, su l’asta dal cuspide bronzeo poggiato.
225La Diva lo lasciò, di Dëífobo assunse l’aspetto
e la gagliarda voce, per volgersi ad Ettore prode;
e presso stando a lui, gli volse veloci parole:
«Achille, o caro, troppo travaglio ti dà; ché t’incalza