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286 ILIADE 80-109

80che, pendulo dal corno d’un bove selvatico, scende
giú giú nel mare, ai pesci voraci recando la morte.
E Tètide trovò dentro un concavo speco; e d’intorno
stavano l’altre Dive del pelago; ed essa, nel mezzo,
del puro suo figliuolo piangeva il destino, che morte
85trovar doveva in Troia ferace lontan dalla patria.
Iri dai pie’ veloci vicina le stette, e le disse:
«Tètide, sorgi! Giove ti chiama, il supremo dei Numi!».
     E Tèti a lei rispose, la Dea dall’argentëo piede:
«Perché dunque mi chiama, quel Nume possente? Ho ritegno
90di mescolarmi ai Numi, ch’io soffro dolori infiniti.
Ma pure, andrò; né vana sarà la parola ch’ei disse».
     Detto cosí, la Dea fra le Dive, si cinse d’un velo
bruno, che veste alcuna non c’era piú bruna di quella,
e mosse. Ed Iri innanzi, la Diva dai piedi di vento,
95erale guida; e d’attorno s’aprivano i flutti del mare.
Sopra la spiaggia poi venute, balzarono al cielo.
L’onniveggente Croníde trovarono; e tutti d’intorno
stavano gli altri Numi raccolti, che vivono eterni.
Atena il posto allora cedette; e sede’ presso Giove
100Tètide; ed Era offerta le fece d’un calice d’oro,
cortese le parlò. Bevve Tèti, poi rese la coppa.
E allora favellò degli uomini il padre e dei Numi:
«Tètide, tu sei giunta, sebbene crucciata, all’Olimpo,
inconsolabile doglia chiudendo nel cuor, lo so bene.
105Ma tuttavia, ti dirò perché qui t’ho fatta chiamare.
Da nove giorni è sorto contrasto fra i Numi immortali.
D’Ettore n’è cagione la salma, ed Achille Pelíde.
Alcuni all’Argicída chiedevan che il corpo involasse;
ma io ben altro vanto concedere voglio ad Achille,