Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/293

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290 ILIADE 200-229

200«Ahimè!, dove il tuo senno svaní, che pur celebre un giorno
te fra gli estranii rese, fra quei che ti chiamano sire?
Andar come vuoi tu soletto alle navi d’Acaia,
andare sotto gli occhi dell’uomo che tanti figliuoli
giovani e prodi t’uccise? Davvero, il tuo cuore è di ferro!
205Ché s’ei ti piglierà, non appena ti avrà sotto gli occhi,
crudo ed infido qual’è, di te non avrà compassione,
rispetto non avrà. Piangiamolo, via, da lontano,
restando entro la casa: ché quando lo diedi alla luce,
per lui fiero Destino tal sorte segnò, ch’ei dovesse
210sfamare i pronti cani, lontano dai suoi genitori,
presso ad un uomo feroce. Il fegato a mezzo azzannargli
potessi, e divorarlo! Compiuta cosí la vendetta
del figlio mio sarebbe. Ché questi non cadde da vile,
ma pei Troiani pugnò, per le femmine belle troiane,
215senza che a fuga pensasse, pensasse a schivare la morte».
     E il vecchio Priamo a lei rispose con queste parole:
«Non trattenermi quand’io voglio andare, non fare l’uccello
del malaugurio in casa, ché già, non puoi farmi convinto.
Se consigliato a me l’avesse qualcun dei mortali,
220quanti indovini, sono, o aruspici, oppur sacerdoti,
creder potremmo a un inganno, staccarci dai loro consigli;
ma or ch’io stesso ho udita la Dea, con questi occhi l’ho vista,
andrò, né invano avrà parlato; e se vuole il destino
ch’io muoia presso ai legni d’Acaia, a morire son pronto:
225subitamente Achille m’uccida, quando io tra le braccia
stretto abbia pur mio figlio, sfogata la brama del pianto».
     Cosí disse; e i coperchi dischiuse dei cofani belli.
Di qui dodici pepli, fra tutti i piú belli, trascelse,
con dodici mantelli d’un doppio, e altrettanti tappeti,