Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/294

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230-259 CANTO XXIV 291

230dodici manti grandi, con dodici tuniche; ed oro
su la bilancia pose, ne prese ben dieci talenti,
e due tripodi, tutti fulgenti, con quattro lebèti,
e una bellissima tazza che data gli avevano i Traci,
un dí che ad essi ei giunse messaggio; e valeva un tesoro;
235ma neppur questa volle serbare il vegliardo: tal brama
avea di riscattare suo figliolo. E scacciò dalla corte
tutti i Troiani; e ad essi rivolse parole d’oltraggio;
«Andate via di qui, svergognati importuni! Vi manca
forse da piangere a casa, che qui mi venite a crucciare?
240O non vi basta forse che Giove mi die’ questo strazio
che il figlio mio perdessi, che era fra tutti il piú prode?
Ben presto lo dovrete sapere anche voi: ché agli Atridi
preda sarete, adesso ch’è spento, piú agevole molto.
Ma io prima che debba veder con questi occhi distrutta
245e messa Troia a sacco, vo’ scendere ai regni d’Averno».
     Dicea cosí, con lo scettro facendosi largo; e la turba
uscí dinanzi al vecchio che andava di furia. Ed ai figli
questi die’ un grido, ad Èleno, a Paride, al divo Agatóne,
a Pàmmore, ad Antífone, prode guerriero, a Políte,
250a Deífobo, a Divo mirabil di forme, ad Ippòte.
A questi nove il vecchio die’ ordini, alzando la voce:
«Tristi figliuoli, infingardi, sbrigatevi, su! Deh, se invece
d’Ettore, tutti voi foste morti vicino alle navi!
Oh, poveretto me, che diedi alla vita figliuoli
255nell’ampia Troia insigni, né in vita pur uno è rimasto,
Mèstore simile ai Numi, e Tròilo, signor di segugi,
ed Ettore, che un Dio parea tra i mortali, che figlio
no, non pareva d’un uomo mortale, bensí d’un Celeste.
Marte li uccise tutti, sol restano questi codardi,