Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/304

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530-559 CANTO XXIV 301

530d’ogni onta; e cruda fame lo incalza per tutta la terra,
e va randagio, e onore né uomo gli rende, né Nume.
Cosí diêro a Pelèo, da quando egli nacque, i Celesti
fulgidi doni: il primo fra gli uomini egli era: ricchezza
avea, felicità, dei Mirmídoni aveva l’impero,
535e a, lui ch’era mortale, concessero sposa una Diva.
Ma il Nume, ai beni un male gli aggiunse: ché a lui nella casa
non nacquero figliuoli che fossero eredi del regno.
Un figlio solo, fuori di tempo, gli nacque, né quando
vecchio sarà, di lui potrà cura avere: ché lungi
540a Troia io me ne sto, te vecchio, crucciando, e i tuoi figli.
Ed anche te sappiamo che un giorno eri, o vecchio, felice.
Fra quante genti nutre la sede di Màcare, Lesbo,
e sopra noi la Frigia, col pelago d’Elle infinito,
tu, dicono, eri, o vecchio, per figli e ricchezze beato.
545Ora, poiché gli Uranii t’inflissero questa sciagura,
e guerre e stragi hai sempre di genti d’intorno alla rocca,
tollera; e il cuore tuo non affligger di pianto perenne.
Nulla guadagnerai, piangendo il tuo figlio diletto,
non lo resusciterai: chiamerai qualche nuovo malanno».
     550E a lui Príamo, il sire che un Nume pareva, rispose:
«No, non volere ch’io segga, progenie di Superi, mentre
Ettore giace insepolto vicino alla tenda; ma presto
scioglilo, ché questi occhi lo vedano; e i doni tu accetta,
ch’io t’ho recati, tanti. Goderli tu possa, e alla patria
555tua ritornare, poiché compassione di me prima avesti,
sí ch’io vivessi, e ancora godessi la luce del sole».
     Ma bieco lo guardò, cosí gli rispose il Pelíde:
«Vecchio, non fare, adesso, ch’io m’irriti. A scioglier tuo figlio
sono disposto: a me venuta è, mandata da Giove,