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308 ILIADE 740-768

740ma piú che a tutti, a me rimangono affanni funesti:
ché tu non mi porgesti la man dal tuo letto di morte,
non mi dicesti una saggia parola di cui ricordarmi
potessi notte e giorno, versando l’amaro mio pianto!».
     Cosí dicea piangendo, gemevano tutte le donne.
745Ed Ècuba fra loro levava per prima il lamento:
«Ettore, al cuore mio diletto su tutti i miei figli,
sinché tu fosti vivo, tu fosti diletto ai Celesti:
essi si diedero cura di te, pur nel fato di morte.
Gli altri miei figli, Achille dai piedi veloci, vendeva,
750come li avesse presi, di là dallo sterile mare,
condotti a Samo, ad Imbro, ai lidi nebbiosi di Lemno:
te, poi che t’ebbe tolta la vita col lucido bronzo,
ti trascinò lungamente di Pàtroclo intorno alla tomba,
che tu spengesti: e pure cosí non gli rese la vita.
755Ed ora, tutto fresco mi stai nella casa, ed intatto,
simile in tutto ad uomo che Apollo dall’arco d’argento
abbia con le sue frecce benigne colpito ed ucciso».
     Disse piangendo cosí, suscitando lamenti infiniti.
Elena terza poi, fra loro levava il lamento:
760«Ettore, al cuore mio diletto fra tutti i cognati,
— ché Paride è mio sposo, che sembra all’aspetto un Celeste,
egli m’addusse a Troia: cosí fossi morta quel giorno! —
è questo l’anno già ventesimo ch’io sono a Troia,
da che di là partii, lasciando la terra materna,
765né udito ho mai da te parola scortese o d’oltraggio;
anzi, se mai qualche altro rampogna mi fe’ nella reggia,
fratello tuo, sorella, cognata, o mio suocero stesso,
— ché mite ognor con me mio suocero fu come un padre —