Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/310

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710-739 CANTO XXIV 307

710si laceravan la chioma: la turba assisteva piangendo.
E qui l’intero giorno, sin quando giungesse il tramonto,
Ettore avrebbero pianto, gemendo dinanzi alle porte,
se non avesse il vecchio parlato dal carro alle turbe:
«Fatemi largo, ch’io passi coi muli: satolli di pianto
715farvi potrete, quando condotto l’avrò nella reggia».
     Cosí disse. E la turba s’aprí, fece largo al suo carro.
Giunti alla reggia eccelsa, deposero quindi la salma
su traforato letto, chiamaron qui presso cantori
per intonare i lagni. Levaron con flebile voce
720quelli la funebre nenia, seguiano coi lagni le donne.
E Andromaca fra loro levò per la prima il lamento,
fra le sue mani il capo stringendo del prode suo sposo:
«Dai giovani anni, o sposo, tu parti, e me vedova lasci
entro la casa: il bimbo tu lasci, che ancóra non parla,
725che generammo tu ed io, sventurati! Né credo ch’ei giunga
a giovinezza: ché prima sarà dalle cime distrutta
questa città, ché morto sei tu che a difenderla stavi,
la difendevi, guardavi le spose ed i teneri figli.
Esse dovranno ben presto partir su le concave navi,
730ed io fra loro. E tu dovrai pur seguirmi, o mio figlio,
dove ti sarà forza piegarti a un indegno lavoro,
penare innanzi a un duro padrone; o qualcun degli Achivi
ti ghermirà, scaglierà, morte orribile, giú dalle torri,
crucciato perché forse tuo padre gli uccise un fratello,
735oppure il padre, o un figlio: ché molti guerrieri d’Acaia
d’Ettore sotto ai colpi caduti, già morsero il suolo,
ché nella pugna funesta non era, no, dolce, tuo padre.
Perciò nella città lo piangono adesso le turbe.
Ettore, ai tuoi genitori tu lasci ineffabile pianto,