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46 ILIADE 319-348

né quando amai l’insigne Latona, né quando te stessa,
320come son pieno adesso d’amore e di brama soave».
     Ed Era a lui rispose cosí, che tramava l’inganno:
«Impetuoso figlio di Crono, che cosa mai dici?
Dunque t’ha còlto brama di mescerti meco d’amore
qui, su la vetta d’Olimpo, ch’esposta è di tutti agli sguardi?
325Quale vergogna, se alcuno dei Numi che vivono eterni
qui ci vedesse, e tutto corresse a narrare ai Celesti!
Io piú non oserei, sorgendo da tale giaciglio,
tornare alla tua casa: ché troppa vergogna sarebbe!
Ma pur, se questo brami, se questo il tuo cuore vagheggia,
330c’è la segreta stanza che Efesto, il tuo figlio diletto,
per te costrusse, e porte foggiò sugli stipiti salde:
andiamo ivi a giacere, se tu di giacere hai pur brama».
     E a lei Giove rispose cosí, che le nuvole aduna:
«Era, temer non devi che alcuno dei Numi ci scorga,
335né dei mortali alcuno: sí densa una nuvola d’oro
io stenderò su noi, che neppure veder ci potrebbe
Èlio, il cui raggio, pure, piú acuto d’ogni occhio penètra».
     Detto cosí, fra le braccia ghermí la sua sposa il Croníde;
e sotto ad essi fiorí la terra di tenere erbette,
340di roridi trifogli, di crochi, di fitti giacinti
morbidi, ch’alti dal suolo sorgendo, sostennero i Numi.
Giacquero quivi; e sopra si stese una nuvola d’oro
bella, a coprirli; e giú ne cadevano lucide stille.
     Cosí giaceva il padre, sui picchi del Gàrgaro, vinto
345dal sonno e dall’amore, stringendosi in braccio la sposa.
E corse allora Sonno soave alle navi d’Acaia,
per dar l’annuncio al Nume che stringe, che scuote la terra.
E, stando a lui vicino, cosí la parola gli volse: