Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/62

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110-139 CANTO XV 59

110Ed Are, credo già che l’abbia percosso sciagura,
ché morto è in guerra quegli che amava su tutti i mortali,
Ascàlafo, che d’Are, per quanto raccontano, è figlio».
     Cosí diceva. Ed Are le palme batté delle mani
su le robuste cosce, levò fieri gemiti, e disse:
115«Non v’adirate con me, delle case d’Olimpo signori,
se muovo, a far vendetta del figlio, alle navi d’Acaia,
se pure è mio destino, percosso dal folgor di Giove,
a terra, fra gli estinti giacer fra la polvere e il sangue».
     Disse. Ed al carro ordinò che fossero stretti i cavalli,
120Fuga e Spavento; e nell’armi lucenti si chiuse egli stesso.
E qui, certo, piú acerba la collera e l’ira di Giove,
piú fiera contro gli altri Celesti avvampava, se Atena,
che per la sorte di tutti gli Olimpi temeva, dal trono
dove sedeva, non fosse balzata al vestibolo; e l’elmo
125trasse di capo al Dio, da le spalle gli tolse lo scudo,
l’asta di bronzo dal pugno massiccio gli tolse, e la pose
alla parete; e investí con queste parole il furente:
«Pazzo, che senno non hai, ti vuoi rovinare? Tu invano
orecchie hai per udire, ché senno e prudenza non hai.
130Non senti ciò che dice la Dea dalle candide braccia,
che giunse or or da parte di Giove signore d’Olimpo?
Davvero vuoi tu stesso, rempiuta la coppa dei mali,
tornar di nuovo a forza, sebbene crucciato, in Olimpo,
e il seme, anche per gli altri Celesti, piantar d’un gran danno?
135Ché presto ei lascerà gli Achivi e i superbi Troiani,
e tornerà fra noi, ponendo a soqquadro l’Olimpo,
e ghermirà via via colpevoli e immuni da colpe.
L’ira pel figlio morto, pertanto deponi, ti dico:
ché tanti altri, migliori di lui per prodezza e per forza,