Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/70

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349-378 CANTO XV 67

quivi gl’infliggerò la morte, né amici ed amiche
350sarà che lui defunto partecipe faccian del rogo:
strazio dinanzi alla nostra città ne faranno le cagne».
     E, cosí detto, la sferza vibrò su la groppa ai cavalli,
da schiera a schiera grida lanciando ai Troiani; e, concordi,
quelli, con fiere grida, spingevano carri e cavalli,
355con infinito clamore. E Apolline Febo, dinanzi
agevolmente, coi piedi, le ripe del fosso profondo
fece crollare giú, nel mezzo formando il passaggio
d’un ponte, largo, e lungo quant’è la gittata d’un’asta,
quando la scaglia un uomo che vuole provar la sua forza.
360Qui si lanciarono tutti, serrati in falange; ed Apollo
l’ègida orrenda innanzi scoteva; e abbatté degli Achivi
agevolmente il muro, cosí come abbatte un fanciullo
la sabbia presso al mare, che prima l’ammucchia a trastullo,
e per trastullo, poi, coi piedi e le mani l’abbatte.
365Saettatore Febo, cosí la fatica e le pene
tu degli Achèi rovesciasti, volgendoli a fuga dirotta.
     Stettero pure, infine, fermandosi presso alle navi,
l’uno esortando l’altro, volgendo le supplici mani
a tutti i Numi, voti levando a gran voce, e preghiere.
370E piú che gli altri, al cielo stellato levando le braccia,
Nèstore, gran baluardo d’Acaia, levò questa prece:
«Giove, se alcuno mai, in Argo ferace di spelta,
le pingui cosce ardendo di pecora o bove, il ritorno
ebbe a implorarti, e tu concedesti promessa ed assenso,
375or lo rammenta, e lungi da noi tieni il giorno fatale,
e non lasciar gli Achèi sopraffare cosí dai Troiani».
     Cosí disse pregando. Scagliò Giove saggio un gran tuono,
ché le preghiere udí del vegliardo figliuol di Nelèo.