Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/89

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86 ILIADE 80-108

80Pàtroclo, piomba su loro con tutta la furia, ché a fuoco
metter non debbano i legni, privarci del dolce ritorno.
E dammi retta, proprio come io ti consiglio e ti dico,
sí che tu mi procacci da parte dei Dànai tutti
onore e gloria, e a me la bellissima figlia di Crise
85rendere debbano, e inoltre recarmi bellissimi doni.
E quando poi li avrai respinti dai legni, ritorna.
Ché, se pur d’Era lo sposo tonante la gloria t’accorda,
tu non voler piú a lungo pugnar coi guerrieri troiani,
senza di me; ché, allora, minor la mia gloria sarebbe;
90né per soverchia esultanza di guerre e battaglie, ti piaccia
guidar contro Ilio i nostri, ponendo a sterminio i Troiani,
ché poi non intervenga qualcuno dei Numi d’Olimpo:
ché li protegge molto Apollo che lunge saetta.
Ma torna qui, come abbia recata la luce alle navi,
95e lascia pur che al piano prosegua fra loro la pugna.
Oh, deh!, se Giove padre volesse, ed Atena, ed Apollo
che dei Troiani nessuno sfuggire potesse alla morte,
né degli Achivi; e noi due sfuggissimo soli alla strage,
sí che il suo serto di torri sciogliessimo a Troia da soli!».
     100Queste parole cosí scambiarono l’uno con l’altro.
Né piú reggeva Aiace: ché troppo era offeso dai colpi,
troppo il voler l’opprimeva di Giove, ed i colpi troiani.
Terribile rimbombo mandava d’intorno alle tempie
l’elmo lucente percosso: ché mai non ristavano i colpi
105sopra la salda visiera. Spossata la spalla sinistra
aveva omai, ché sempre reggeva lo scudo fulgente;
pur non poteano, per quanti vibrassero colpi, scalzarlo;
e un grande affanno il petto ognor gli opprimeva, e il sudore