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156 Dio ne scampi

Maurizio aggrotta le ciglia; e zufola l’inno reale: larà, larà, larà, lallarà, lallallalà!

La Radegonda, accecata, dalla gelosia, e scorgendo, in quel silenzio, la conferma del sospetto suo, insiste. Ed arrischia qualche lamento, sull’abbandono, in cui vien lasciata, per correre, chi sa dove! chi sa da chi! Si lagna della freddezza, della noncuranza, che le vien dimostra: in modo mite sì, cansando ogni parola acerba, ma i rimproveri sogliono essere tanto più crudeli, quanto più sono, moderatamente, espressi; fanno più colpo. La sciabola taglia, accarezzando, non percotendo. Ahimè! con le disposizioni d’animo, che il signorino nutriva per lei, e col malumore speciale, in cui l’immergevano gl’imbarazzi momentanei suoi, que’ rimproveri potevano soltanto inasprirlo.

— «Oh, oh! son chiamato, a render conto della mia condotta, pare! Sarò ridiventato bimbo, che tu stimi facile di governarmi, a tua posta? Già, io, certe inquisizioni non le tolleravo, neppur, da bimbo! neppure, da mia madre, che è mia madre ed una santa donna! Assolutamente, mi vorresti per tuo servo umilissimo, neh? Sbagli, sbagli, sbagli, carina! Chi la tira, la spezza. Libertà reciproca. Io so, che tu sei uscita, oggi; ebbene, chieggo, forse, dove sei andata, eh?» -