Pagina:Imbriani - Dio ne scampi dagli Orsenigo, Roma, Sommaruga, 1883.djvu/167

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dagli Orsenigo. 157

— «Ma io...» -

— «Ma tu m’impastocchieresti una frottola. Io non son femmina, per saper fingere e mentire. Io fo quel, che m’accomoda; vo, dove m’aggrada. Se avessi inteso darmi una padrona, vincolarmi, avrei tolto moglie. Maledetta l’ora!...» -

Queste parolacce eran più borbottate, che dette; borbottate, smozzicatamente, fra’ denti. La pusillanime Radegonda ne indovinava, così, in confuso, in grosso, l’intenzione minacciosa e maligna, più che non ne comprendesse il senso preciso. Afflitta e sbigottita d’averlo irritato, scusandolo, già, (e, veramente l’attenuante saltava agli occhi ed... al naso: gli era ebbro!) cercò rabbonacciarlo, con soavi parole. Fu peggio. «Già; già; sei più furba tu!... subdola e volpina, come dice il Garibaldi de’ preti. Credi racconciar tutto, con due parolette lusinghiere. Quando le minacce non approdano, allora, t’appigli alle seccature, alle lusinghe... Ma devi credermi, dunque, ben dappoco? Ed io ti ripeto, che la sbagli, la sbagli; ch’io cavezze non ne accetto, da nessuna. So di avere, pur troppo, obblighi, verso di te; li soddisfo, mi pare. Ma t’inganni a partito, se stimi, che io possa ammettere, d’esserti venduto; t’inganni, t’inganni, t’inganni.» -