Pagina:Imbriani - Dio ne scampi dagli Orsenigo, Roma, Sommaruga, 1883.djvu/171

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dagli Orsenigo. 161

antecedente. La Radegonda, che aveva assunto, come un piacere, di rendergli alcuni servigiuoli, venne, lentamente, con gli occhi cerchiati, a recargli il caffè. E deposto il vassoino, con la chicchera e la zuccheriera, sul comodino, voleva allontanarsi. Egli nol sofferse; e l’attirò a sè. Ella stava contegnosa; e domandò: -

— «Vuoi altro?» -

— «Senti!...» - rispose, Maurizio. E l’obbligò, ad aggomitarsi sul letto; e la guardò fiso.

Lasciava fare, ma stava sulle sue. Il bellissimo volto era pallido, squallido. Vi si leggevan le tracce degli strazi. Vi scorgevi dipinta una mestizia profonda, come in chi dispera trovar rimedio, alla propria sventura. Maurizio le teneva strette le braccia, con le due mani; e le chiese: che gli perdonasse, che dimenticasse quantunque egli aveva, inconsciamente, detto o fatto, il giorno prima. Gliel chiese, con insistenza, con accento sincero. E la donna proruppe in lacrime soavissime: loro, sempre, dall’irrigazione cominciano! E svincolandosi, gli buttò le braccia amorose al collo. E si strinse, al seno, e tempestò, di baci ardenti, quel capo diletto, ringraziando il giovane, di quell’atto di bontà, come se fosse stato non cosa debita a lei, anzi una mera degnazione di lui. Lo scongiurava: di non accorarsi, per tanto poco. Si accusava: di