Pagina:Imbriani - Dio ne scampi dagli Orsenigo, Roma, Sommaruga, 1883.djvu/173

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dagli Orsenigo. 163

do Maurizio pensò a berlo. Convenne riscaldarlo; e, poi, lui e la Radegonda sel sorbillarono, a sorsellini, a centellini, insieme, dall’unica e sola tazza... Tazza, che facea parte d’un servizio di porcellana dell’antica fabbrica reale di Capodimonte... una bellezza! un amore! Ah di quella porcellana non se ne impasta, più! di que’ disegni non se ne indovinan, più! di quelle sagome non se ne azzeccan, più! nella Italia nostra, a dì nostri, paga e superba della fabbrica Ginori!... Lo studio de’ Principi divenne industria di speculatori!

In quella, sopraggiunse la posta. E la Salmojraghi potè osservare, come, nel leggere una lettera, col bollo postale di Napoli, la fronte di Maurizio si corrugasse; e com’e’ la posasse, sul comodino, con un fare dispettoso. Gli si rifece, carezzevole, intorno. Ma il giovane era preoccupato; e rispondeva, monosillabicamente.

— «Maurizio?» -

— «Dì.» -

— «Dammi retta; ho da chiederti un favore.» -

— «Sto a sentire.» -

— «Ma non m’hai da dire: No!» -

— «Se posso, figurati!» -

— «Giuramelo.» -

— «Sì, sì!» -

— «Ma guardami, in faccia! Senti! Metti,