Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 142 — |
— Ha bisogno della mia compagnia! o di quella dell’ingegnere?
Arma si era appoggiata a un tavolino, su cui ardeva una lampada, e dava la caccia a una farfalletta che svolazzava intorno al lume.
Rispose arditamente: — La sua compagnia è troppo seria, per me!
Roveni fece: — Oh! oh! Io mi accostai alla Melvi; e mentre ella bruciava la farfalla alla lampada, dissi per provocarla:
— Essere troppo serio per lei non significa che io sia molto serio!
— E questo vuol dire che io sono così allegra.... che non dovrei prendere sul serio nemmeno lei? nemmeno un poco?
— Un poco, via! Se non per altro, per, la mia abitudine di indagare nell’animo della gente di scrutare i cuori umani.
— Indaghi, dottore; ma badi che i medici van soggetti a sbagliare. Fan certi spropositi!... Per esempio, lei, che legge nei cuori, non si è ancora convinto che dovremmo essere amici noi due e non nemici! Gliel’ho detto un’altra volta.
Già: me l’aveva detto di ritorno dalle Grotte; e allora aveva data spiegazione diversa da quella che era stata per dire.
— Si spieghi meglio! Perchè dovremmo essere amici?
— Indovinala grillo!
E fuggì dalla porta della terrazza, da cui si scendeva nel giardino, evidentemente per attirarmi là a discorrere. Non la seguii; vidi Ortensia rientrare dalla porta opposta: Roveni, che stava ciarlando con la Fulgosi e la vecchia