Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/16

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sette anni; era una giovinetta; e come per tutte le altre della sua età, belle o brutte che siano null’altro le ferveva negli occhi che la giovinezza.

Ancora deluso, in me svanì l’effetto di quel primo risveglio della memoria; scomparve l’idea che l’aveva seguito fugace al pari di un baleno; ripiombai nel vuoto.

— Ohe! Non risponde? — esclamò Ortensia quando fu stanca e, a una sua dimanda rimasta sospesa, s’accorse che non le badavo più. Aggiunse, malcontenta: — Mio Dio! che uomo!

Mi sembrò allora che la baldanza della giovinetta celasse un segreto timore; pensai ch’ella e forse altri dei Moser dubitassero di vedermi impazzire.

A confermarmi nel sospetto quella stessa sera, a desinare, Claudio si ricompose la barba come soleva in caso di pensieri molesti, e un po’ oscurato nella faccia, di solito così serena, mi disse:

— Senti, Carlo: aut aut: o tu mi accompagni giù in pianura, tutti i giorni, a goderti con me trentacinque gradi all’ombra, o mi dai la tua parola....

— Ah! — interruppi — Eugenia ha detto anche a te che Sivori non è più quello?

Fu una dimanda aspra, con un sorriso amaro.

— Non centra Eugenia. Io, io, a ricordarmi che ho un amico a casa mia che s’annoia mortalmente e che per non annoiarsi è costretto a meditare su l’impossibile....

Scossi, annoiato, le spalle.

— .... un amico che non lavora come me, all’antica, più con le gambe che con la testa, ma un uomo moderno che lavora solo di cervello