Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/323

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poi, come non mi credesse, volse gli occhi altrove. Accanto a me, così, mi pareva bella di fierezza: l’esile ma alta e proporzionata persona aveva la nobiltà del portamento che è dono divino della natura; nè alcun poeta avrebbe potuto desiderare più bella fronte e più bei capelli per far di una strofa una corona.

La fierezza che un tempo era fugace ne’ suoi occhi e ne’ suoi «voglio», pareva in lei esser divenuta, ora, abituale.

— Dev’esser molto triste la Vostra pianura, laggiù!

— Triste — risposi — ; ma d’una tristezza pacata e dolce.

Passava in quel punto il fragore di un treno: ansioso, rapido, forte, violento, e scemava; poi, subito dopo, riprendeva intenso, più veloce, e ancora diminuiva, si perdeva; eppoi ancora, per un istante, un fondo e uguale roteare metallico, e, più nulla. Dall’orto venivan voci di donne, invisibili.

— È un’impressione curiosa! — disse Ortensia. — Qui, a me, mi sembra di udire la vita come se fosse lontana, lontana, fuori di me.... Non so spiegarmi!...

Indugiò prima di aggiungere:

— Mi sembra di udirla da una tomba.

Claudio tornava; e Ortensia, chiamata dalla madre, ridiscese.

— Che te ne pare di quella bambina? A vederla così pallida mi strozzerei — disse Moser, in cui era cessato l’impeto di pocanzi. — Ma qui avrà del sole, dell’aria, del verde.... Purché non le dispiacciano questi luoghi! Tu credi che non le dispiaceranno? che tornerà bianca e rossa....