Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/385

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stizia umana che si lasciò sfuggire un colpevole!

Narrando tutto della mia storia io ho avuto per iscopo il mistero dell’esistenza umana.

Dopo uno stato di infelicità morbosa con l’amore, l’errore, il rimorso, il sacrificio io ero riuscito a concepire altrimenti la vita e credevo essere divenuto degno della felicità. Valendomi sin della fosca tragedia del risaiuolo io avevo elevato la mente a considerare la felicità della vita!

Ma che dico di me? Ortensia, Ortensia che io e la sventura traemmo a così lungo soffrire, Ortensia che da tanti turbamenti e affanni fu risollevata, per la energia del suo spirito a quella fede nella vita ch’ella solo aveva potuto ridarmi, Ortensia io credevo meritasse di essere felice!

Ebbene: io domando se il coso, solo il caso, o la malvagità di un uomo, solo la malvagità di un uomo, potè arrestarci al punto di toccare la meta; o se fu piuttosto il destino non mio, non d’Ortensia, ma il destino che pesa su tutta l’umanità. Io domando se quando ero caduto in così squallida miseria di pensiero e di cuore e quando la vita pareva anche a me inutile miseria, io non ero più nel vero allora che dopo, quando con vigoroso animo e intensa vitalità percepivo tutte le gioie dell’esistenza e con sguardo inebbriato d’avvenire vedevo come fosse mio l’universo. O — io mi domando — fui travolto dalla fatalità per una colpa di cui mi sfugge la conoscenza?... O la colpa che meritò tanto castigo fu il mio pessimismo non abbastanza punito, la mia antica disperazione e tristezza?

Ma chi mi risponde? Io sono qua solo, in faccia al Destino; e mi par d’esser solo a interro-