Pagina:Infessura - Diario della città di Roma.djvu/24

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xxii o. tommasini

Cosi, spesso, egli è a’ fatti che racconta testimonio di veduta, quantunque non paiano contemporanei i notamenti ch’egli ne fa. Nè reca sovente in mezzo i documenti che vede. Se si eccettuano una lettera del conte Girolamo Riario al pontefice1 una cedola del collegio dei cardinali di cui dà la sostanza2, certi capitoli d’Innocenzo VIII da lui veduti nel palazzo de’ Conservatori3, ei non ne produce altri. Ma gl’incisi della sua cronaca guadagnano bensì luce e importanza straordinaria quando vengon messi a rimpetto dei documenti contemporanei, dei regesti dei pontefici, dei libri della Camera di Roma; quando le lettere del Senatore fanno riscontro ai notamenti dello scribasenato; nel quale ufficio, che il nostro Stefano ricoperse, ei fu l’ultimo in cui fremette ancora l’amore della città e del viver libero, tanto malamente oppresso dalle arti del clero.


III.


Circa ai manoscritti cogniti del Diario e a quelli che servirono per l’edizione odierna, poche cose riassumo qui. Il Valesio e un manoscritto del museo Britannico accennano a un codice autografo, che non è niente più, niente meno del manoscritto citato dal Rainaldi ne’ suoi Annali ecclesiastici, e che nell’archivio Vaticano recò il num. 111. Questo ora più non vi si trova; da taluno fu indicato come

  1. Diario, p. 153.
  2. Diario, p. 168.
  3. Diario, p. 176.