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prefazione | xxi |
tificia in Avignone, da cristiani e da romani si considerava come la principale iattura per la Chiesa e per la città; e il primo principio di tale iattura il popolo voleva ripeterlo da casa Orsina. Così l’I. racconta che fu Napoleone degli Orsini da Monte Giordano che «ruppe li cardinali» esitanti a coronare Clemente V fuori di Roma; «e givosene in Francia et tutti li altri lo seguitorono et allhora fu coronato»1. Ed oggi, se la storia imparziale riduce a più stretto limite la responsabilità dell’Orsini, non però lo scagiona del tutto2. La stessa leggenda dei Rosselli, che l’I. accoglie nel suo Diario, à positiva origine nella clientela di casa Colonna3. Questa che da Paolo Petroni fu maledetta come nemica della Chiesa e di Roma4, più giustamente rappresentata da Stefano siccome popolare e civile, vien da lui servita con fede. Quando nell’infelice città tutto era tumulto e violenza, e si gridava da una parte: Chiesa ed Orso, Orso e Crescenzio e dall’altra: Valle e Colonna, Stefano non pur compiè fedele l’ufficio suo di scribasenato, ma quello di amico affettuoso e devoto presso la salma tormentata di Lorenzo Colonna, l’infelice protonotario; mentre il notaio dell’Antiposto alle guerre si contentò di mettere «doi carratelli alla porta carichi de sassi et pontellare molto bene»5, Stefano invece nota: «con li miei occhi lo veddi, et con le mie mani lo sepelii»6.