Pagina:Infessura - Diario della città di Roma.djvu/22

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xx o. tommasini

solum vitam ammarimi et spiritualia curabit»1; per la speranza cioè, di quell’era del Santo Spirito che doveva seguire a quella del Padre e del Figliuolo, le cui colonne sarebbero state l’abate Ioachim, san Francesco e san Domenico, come nel principio della nuova alleanza erano stati Zaccaria, Giovanni Battista e Gesù. Pertanto il commovimento profetico che, agitando i luminari del secolo, scende da questi sino all’infime plebi, come freme nel veltro dantesco e nella cronaca di fra Salimbene, così parla in quella del nostro scribasenato. Se l’I. accòglie la leggenda della morte di Benedetto XI «attossicato ’n uno fico», è pel vaticinio ioachimistico che lo predice2. Se al mancare dell’imperatore Federico III, nel 1493, annota: «et cum eo perierunt omnes prophetiae»3, egli è appunto perchè colla morte di lui, profeticamente tanto formidabile alla Chiesa, quanto storicamente innocuo, vede cadere a vuoto tutte le predizioni guelfe che avevano dipinto coi più foschi colori quel qualsiasi Federico tedesco, che fosse venuto dopo il secondo, dopo l’Hohenstaufen, aborrito e formidato dalla Chiesa pur nella memoria e nel nome.

Ma dopo l’influenza dei dettami profetici, quello del sentimento popolare e colonnese è il più caldo e cospicuo nel Diario di Stefano. La catastrofe di papa Bonifacio, con cui la Cronica di lui s’incomincia, sta come segno della vendetta di Dio, contro chi s’attenta a colpire la virtuosa casa dei Colonna, e i Riario dovevan meditarne l’esempio. L’esilio babilonico, il trapasso della sede pon-

  1. Cf. Diario, p. 265.
  2. Diario, p. 4.
  3. Diario, p. 292.