Pagina:Ioannes Baptista a Vico - Opera latina tomus I - Mediolani, 1835.djvu/127

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italorum sapientia 97

Ente, ed a petto di lui le cose particolari tutte veri enti non sono, ma disposizioni dell’Ente vero. E facendo servire questa sapienza de’ Gentili alla cristiana, pruovo che perchè i filosofi della cieca gentilità stimarono il mondo eterno, ed Iddio sempre operante ad extra, essi convertivano assolutamente il Vero col Fatto. Ma perchè noi il crediamo creato in tempo, dobbiamo prenderlo con questa distinzione, che in Dio il Vero si converta ad intra col Generato, ad extra col Fatto; e ch’egli solo è la vera Intelligenza, perchè egli solo conosce tutto; e che la Divina Sapienza è il perfettissimo Verbo, perchè rappresenta tutto, contenendo dentro di sè gli elementi delle cose tutte; e contenendoli, ne dispone le guise o siano forme dall’infinito; e disponendole, le conosce, ed in questa sua cognizione le fa: e questa cognizione di Dio è tutta la ragione, della quale l’uomo ne ha una porzione per la sua parte; onde fu detto da’ Latini Animal partecipe di ragione: e per questa sua parte non ha l’intelligenza, ma la cogitazione del tutto, che tanto è dire, non comprende l’infinito, ma bene il può andar raccogliendo.

Formata questa idea di Vero, a quella riduco l’origine delle scienze umane, e misuro i gradi della lor verità: e pruovo principalmente che le matematiche sono le uniche scienze che inducono il Vero umano; perchè quelle unicamente procedono a somiglianza della scienza di Dio; perchè si han creato in un certo modo gli elementi con definir certi nomi; li portano sino all’inlinito co’ postulati; si hanno stabilito certe verità eterne con gli assiomi: e per questo lor finto infinito, e da questa loro finta eternità disponendo i loro elementi, fanno il Vero che insegnano: e l’uomo contenendo dentro di se un immaginato Mondo di linee e di numeri, opera talmente in quello con l’astrazione, come Iddio nell’universo con la realità. Per la stessa via procedo a dar l’origine e ’l criterio delle altre scienze e dell’arti.

Quindi confuto non gia l’analisi, come voi ragguagliate, con la quale il Cartesio perviene al suo Primo Vero. Io l’approvo, e l’approvo tanto, che dico, anche i Sosi di Plauto, posti in dubbio di ogni cosa da Mercurio, come da un Genio fallace, acquetarsi a quello sed quom cogito, equidem sum. Ma dico che quel cogito è segno indubitato dei mio essere; ma non essendo cagion del mio essere, non m’induce scienza dell’essere.

Poi mi volgo contro gli Scettici, e li meno là dove gli sforzo a confessare, darsi la comprensione di tutte le cause, dalle quali provengono gli effetti che sembra loro vedere: la qual comprensione delle cagioni tutte io pongo per Primo Vero.

Passo quindi a ragionarc de’ Generi o Guise o Modificazioni o Forme, come si voglian dire, e delle Specie o Simulacri o Apparenze, come appellar le volete; e pruovo, forme metafisi-

Vici Op. lat. T. I. 7