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106 | de antiquissima |
Io non so ad altro pensare: se non forse voi dubitate di quello, come l’essenza sia metafisica e l’esistenza fisica cosa.
Confesso in verità non averlo dedotto da’ principj della latina favella; ma egli in fatti da que’ principj deriva. Perchè existere non altro suona che esserci, esser sorto, star sovra; come potrei pruovarlo per mille luoghi di latini scrittori. Ciò che è sorto da alcun’altra cosa, è sorto; onde l’esser sorto non è proprieta de’ principj. E per l’istessa cagione non la è lo star sovra; perchè il sovrastare dice, altra cosa star sotto; e i principj non dicono altra cosa più in là di sè stessi. Per contrario, l’essere è proprietà de’ principj, perchè l’essere non può nascer dal nulla. Dunque sapientemente gli scrittori della bassa latinità dissero ciò che sta sotto, sostanza, nella quale noi abbiamo riposto la vera essenza. Ma in quella proporzione che la sostanza tien ragion di essenza, gli attributi tengono quella dell’esistenza. L’essenza noi provammo esser materia metafisica, cioè virtù. Dunque può ciascun per sè trarne le conseguenze: la sostanza è virtù: gli attributi sono esistenza ed atti della virtù. E qui non posso non notare che con improprj vocaboli Renato parla ove medita: Io penso, dunque sono. Avrebbe dovuto dire: Io penso, dunque esisto: e, presa questa voce nel significato che ci dà la sua saggia origine, avrebbe fatto più brieve cammino, quando dalla sua esistenza vuol pervenire all’essenza, così: Io penso, dunque ci sono; quel ci gli avrebbe destato immediatamente questa idea: Dunque vi ha
- ↑ Le quali due azioni i Latini dissero con un sol verbo, torqueo:Axem humero torquet stellis ardentibus aptum.