Pagina:Isernia - Istoria di Benevento I.djvu/75

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un condottiere atto a governare una sì poderosa armata, invitarono a capitanarla il bellicoso Pirro re d’Epiro, il quale non istette in forse dall’accettare l’invito, e, avido di conquiste, salpò da Taranto con 20 mila pedoni, tremila cavalli, e venti elefanti. Egli, prima di azzuffarsi coi romani, propose a Valerio Levino, loro condottiere, di voler risolvere come arbitro la contesa fra Taranto e i Romani; ma il console superbamente gli rispose che Roma nol desiderava per arbitro, nè il paventava come nemico. La battaglia fu combattuta sulle rive del Siri nell’anno di Roma 474 sull’ampio piano che si distende tra Pandosia ed Eraclea. Le speranze d’una compiuta vittoria alternaronsi ben sette volte tra i Romani e gli Epiroti, finchè Pirro, volendo pur tentare l’ultima prova, trovò in suo aiuto

«Nuovi modi di guerra e insolite armi»;


poichè a un suo cenno avanzaronsi contro i Romani i suoi elefanti carichi di torri assai bene munite di combattenti armati di lance e di strali. Le immane belve, adusate alla guerra, sgominarono le schiere Romane, e Levino totalmente sconfitto si ricoverò nell’Apulia.

Pirro dopo una tale vittoria trasse a svernare nella città di Taranto. Ivi gli capitò la famosa ambasciata di cui era capo quel celebre Fabrizio, di cui scrisse l’Alighieri che volle piuttosto viver povero ma virtuoso,

«Che gran ricchezza posseder con vizio».

Pirro tentò adescarlo coi doni, ma l’austero repubblicano gli rispose con mal piglio che offrisse i suoi doni agli schiavi che non hanno amore di patria. E dopo ciò i Romani, risoluti di proseguire a tutto potere la guerra contro Pirro, senza dare ascolto alle sue proposte, finchè non lasciasse l’Italia, vennero a giornata con lo stesso presso Ascoli in Apulia. E Decio, seguendo l’esempio dei suoi antenati, fattosi consacrare agli Dei infernali, si fece uccidere