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redivivi non dirò già i Bianchi e i Neri di Firenze, per non agguagliare alle grandi fazioni le piccole, ma gli esosi partiti dei Montecchi e Capuleti, che più di due secoli innanzi furon causa di tanto sangue cittadino che si sparse nella città di Verona.
E in tale occasione varie cospicue famiglie di Benevento si recarono altrove, e tra esse si annovera la famiglia detta Geremia, che in origine non era che un ramo della celebre casa Geremei di Bologna, la quale disputò per lungo tempo alla famiglia dei Lambertazzi il dominio della città, e i colti lettori non ignorano che le dissenzioni civili di quelle due celebri famiglie fornirono argomento a romanzi e drammi di autori non oscuri.1
- ↑ Defendente Sacelli scrisse un romanzo intitolato: «I Lambertazzi e i Geremei» il Cocchetti e il Prudenzano composero il primo una tragedia e l’altro un dramma sullo stesso argomento. Nel fascicolo VI anno VIII del giornale Araldico Geneologico-Diplomatico che si pubblica in Pisa, furono non è molto pubblicate le notizie istoriche della casa Geremia o Geremei dal comm. G. B. di Crollalanza, che le desunse da alcuni manoscritti di autori beneventani, i quali si conservano nella Biblioteca Nazionale di Napoli, e io dal suo lavoro desumo i seguenti fatti.
Quando Carlo d’Angiò mosse al conquisto del regno di Napoli fu seguito non solo dai Guelfi di Toscana, ma anche da quelli di Lombardia e di Bologna, ed essi ebbero gran parte nella battaglia di Benevento. In quel tempo i Guelfi di Bologna erano guidati dai Geremia o Geremei, i quali presero stanza in Benevento, trovando quivi una sede più tranquilla della loro patria agitata dalle fazioni. Il capo stipite dei Geremia o Geremei di Benevento fu un tal Giuliano, figlio di Geremia Geremei, il quale tenne un grado distinto nell’esercito di Carlo d’Angiò, e conseguì dal re feudi e poderi dopo la giornata di Benevento. Ma quando nel 1477 rivissero in Benevento le antiche fazioni coi nomi di sopra e di basso, Giacomo Geremia, nobile beneventano, ed uno dei discendenti di Giuliano Geremia bolognese, fu astretto ad esulare con un Bartolomeo di Aquino, altra famiglia patrizia di Benevento, e rifugiarsi amendue presso il conte di Loreto, congiunto del d’Aquino, trovarono sicura o onorevole dimora nei suoi domini della Campania, nè fecero più ritorno in Benevento.
giovine in quella sera, e coltolo nell’atto che traeva all’abitazione dell’amata fanciulla, dopo averlo ferito di coltello, lo buttarono nel fuoco insieme all’imprudente donzella, più infelice, ahi quanto! della Giulietta dei Capuleti resa immortale nei versi del più gran tragico del mondo.